Scheda critica
È uno sguardo raro, quello di Nanni Angeli, forse unico. Per La ’janna a lianti, dopo una lunga permanenza a Bologna, Angeli torna nei sentieri della sua memoria di bambino e ragazzo nato e cresciuto in Gallura, quei sentieri reali e metaforici che hanno preso al laccio le traiettorie dello sguardo dell’ignaro futuro fotografo, addomesticandolo a riconoscere la bellezza – a volte palese, più spesso nascosta tra i detriti – degli stazzi galluresi. È lo sguardo di un testimone che si fa carico della responsabilità di documentare quel che resta, quel che fugge o rovina, ma anche quel che arriva e s’innesta, a volte in modo selvaggio, sulle sopravvivenze di una civiltà che nei secoli ha attecchito silenziosa e discreta in questo angolo di Mediterraneo. Le immagini de La ’janna a lianti conferiscono a chi le osserva il privilegio di un punto di vista interno, profondo, oggettivo e al tempo stesso amorevole sugli stazzi della Gallura.
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Un punto di vista interno, da autoctono, quindi per un verso facilitato dalla familiarità con questi luoghi, le persone che li abitano e lavorano, un’idea chiara degli elementi forti e imprescindibili del paesaggio, e anche la non scontata capacità di saper percorrere un territorio tanto vasto quanto frammentato. Ma per un altro verso, proprio il fatto di aver a che fare con la propria terra e la propria gente è un’insidia che potrebbe traviare l’artista, portandolo a farsi carico del bisogno di riscatto e rivincita di una cultura in decadenza, magari estetizzando architetture, oggetti, volti e paesaggi, o addirittura scivolando sul pittoresco e la superficialità di una Sardegna da cartolina. Nanni Angeli non ci casca e riesce a sfruttare al meglio il suo sguardo indigeno per cogliere il paesaggio reale nella sua complessità.
Dunque il suo è anche un punto di vista oggettivo, disincantato. Non c’è solo la vita, ma anche la morte dello stazzo. Però sono come due momenti dello stesso respiro: non si possono scindere, pena l’apnea. Infatti non ci sono foto idilliache alternate a foto di degrado: in ogni istantanea la campagna gallurese fiorisce e sfiorisce: l’acqua rimargina le ferite delle cave di granito; la terracotta sta accanto alla plastica; in una stanza devastata dal tempo persiste il calore di tracce di vita; nella solitudine di un uomo, il rosso dei fiori; rottami di ferro consolati dal verde del prato; il sorriso e l’ombra nei visi degli anziani; una preziosa decorazione su un intonaco sbrecciato…
Ecco, nelle immagini di Nanni Angeli non c’è nessuna morte nera e spettrale che incombe sui colori della vita, ma piuttosto un senso di ineluttabile e pacifica caducità che soffia sulla ruggine e scorre dentro le crepe e le rughe. In questo senso lo sguardo è profondo: i simbolismi non sono banali, le emozioni sono contrastanti, stratificate e compresenti. Non c’è minimalismo: abbondano gli elementi e le traiettorie che li uniscono, li tengono insieme, li fanno resistere con e contro il mondo che cambia inesorabile. In questo la luce svolge un ruolo importante: squarcia, inonda, dà profondità, vivifica, non scaccia i fantasmi ma almeno li rende innocui.
Tanto che persino il grande spettro sembra rallentare la sua marcia inesorabile.
E questa è forse la manifestazione più decisa del punto di vista amorevole di Nanni Angeli. Con l’uso sapiente della luce, lo sguardo oggettivo e profondo, l’attenzione alla densità del paesaggio reale, la scelta delle persone e dei contesti da ritrarre, l’artista testimonia e redime la cultura degli stazzi, accettandola per quella che è nei primi anni Duemila, mostrandocela nella sua intima e intrinseca dignità. Amandola, e facendo sì che questo amore pervada ogni immagine, anche la più apparentemente malinconica, e susciti in chi ha il privilegio di osservarla il desiderio di essere lì, a nutrirsi di una cultura che continua in qualche modo a vivere e per questo continua ad aver bisogno di uomini e donne che ne abbiano cura.
Biografia
Nanni Angeli è nato nel 1969. Nei primi anni ’90 avvia alcuni progetti fotografici sulla Sardegna. Dal 1992 al 2011 vive a Bologna e, come fotografo di scena, di musica e teatro, documenta la scena bolognese, conducendo una ricerca sulla rappresentazione fotografica degli eventi performativi. Ha pubblicato su numerosi libri, riviste e quotidiani, in Italia e all’estero. È attivo nel settore della didattica e nella diffusione della cultura fotografica.
Dal 1996, con Paolo Angeli, dirige il Festival internazionale Isole che Parlano. Dal 2011 vive e lavora in Sardegna.
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